Presentazione

STORIA DEL MAGISTRATO DI MISERICORDIA

Bibliografi di riferimento: G. Petti Balbi, Il sistema assistenziale genovese alle soglie dell’età moderna: l’Ufficio di Misericordia, in “Reti Medievali Rivista, 14 (2013)2, “www.rivista.retimedievali.it”

INTRODUZIONE

Il Magistrato di Misericordia non è solamente un’inesauribile “miniera” di documenti e di dati storici di grande importanza, ma rappresenta la testimonianza sia dei valori morali e religiosi che animavano l’antica società ligure, nobiltà e popolo, nei riguardi delle persone più deboli, sia delle opere di beneficenza organizzate in stretta sintonia dalla Repubblica di Genova e dall’Arcidiocesi di Genova.
Nei primi decenni del Quattrocento Genova è uno dei punti nevralgici dell’economia mondiale, sia perché mantiene il controllo di una fitta rete di “colonie” nel Mediterraneo e nel Mar Nero, sia per l’inserimento dei propri cittadini-mercanti nei traffici commerciali e finanziari di tutta Europa.
Gli archivi sono un bene culturale di primaria importanza; quello del Magistrato di Misericordia, arrivato quasi intatto a distanza di sei secoli dalla sua costituzione, registra in modo peculiare un percorso di vita sociale e la capacità amministrativa messa al suo servizio.

ORIGINI

Presentazione - 04Il Magistrato o Ufficio di Misericordia viene istituito il 23 dicembre 1419 dal doge Tomaso de Campofregoso e dal Consiglio degli Anziani su impulso dell’arcivescovo di Genova, Pileo De Marini, dando ordine a precedenti esperienze che avevano avuto lo scopo di garantire l’esecuzione dei legati testamentari destinati dai privati genovesi ai poveri e ad altre opere pie. Il governo nomina quindi i nobili Pietro Fieschi e Gabriele Spinola e i popolari Antonio Bargagli, seaterius, e Geronimo Giustiniani olim de Monelia, i quali con l’Arcivescovo avranno l’autorità di sovrintendere al rispetto e all’esecuzione delle disposizioni testamentarie in favore dei poveri. Sin dall’origine quindi l’ente è allo stesso tempo una Magistratura dello Stato genovese e un’opera pia presieduta dall’Arcivescovo e vi sono coinvolte tutte le componenti del ceto dirigente cittadino, all’epoca diviso tra nobiles e populares. Non a caso la sede del Magistrato sarà prima nel palazzo arcivescovile e poi nel chiostro di San Lorenzo.
Nel Magistrato di Misericordia la Devozione religiosa e l’abilità amministrativa che costituiscono nei secolo caratteristiche peculiari dei Genovesi trovano una delle migliori espressioni, in una felice e armoniosa integrazione di “sacro e profano”. Proprio per questo nella documentazione del Magistrato di Misericordia troviamo una fonte preziosa per conoscere la società non solo genovese ma dell’intera Liguria dalla fondazione dell’ente sino all’epoca contemporanea. Infatti, nella cultura genovese permane la vocazione a istituire fondazioni benefiche in favore della propria famiglia o delle categorie disagiate in genere. Le fondazioni di più larga diffusione sono quelle stabilite in favore dei membri dell’albergo, la tipica aggregazione familiare genovese, prevendendo il sostegno ai membri della famiglia, le doti alle spose, gli studi per i figli maschi, ma anche le opere pie cittadine, i poveri in genere e altre finalità particolari. La documentazione accresce in maniera esponenziale con i secoli dell’età moderna, in particolare con il periodo di vita della Repubblica aristocratica (1528-1797), quando la propensione alla beneficienza rimane una delle caratteristiche culturali proprie della città. Questo fenomeno coinvolge non solo i grandi casati del patriziato, ma anche famiglie del territorio e mercanti che trovano fortuna lontano dalla patria. Inoltre, nei momenti di difficoltà economica, al Magistrato ci si rivolge per poter attingere a quelle fondazioni istituite magari in secoli precedenti dagli avi e poter liquidare quei capitali in origine inalienabili. Ancora attraverso il Magistrato continuano a passare distribuzioni di doti e amministrazioni di ospedali o di scuole istituiti da pii benefattori, fornendoci una mappatura di questo tipo di enti nella Repubblica.
L’Archivio del Magistrato di Misericordia non costituisce solamente una straordinaria fonte per studiare la tradizione della beneficenza e le dinamiche proprie del grande patriziato, nelle sue molteplici sfaccettature. La cultura della beneficenza riguarda infatti tutto il territorio ligure e tutte le fasce sociali. Nelle città e nei ricchi borghi costieri da sempre esistono strutture familiari analoghe a quelle della Dominante, come pure in molte aree nell’entroterra dove si sviluppa la parentella, l’aggregazione familiare che fonda la propria sussistenza sul legame col territorio e sull’economica agricola. Se prima del 1528 le parentelle, generalmente proprietarie di consistenti estensioni di terreno, costituiscono anche dei veri e propri soggetti politici, spesso rappresentanti in loco delle fazioni della capitale a cui sono legate da interessi e talvolta da vincoli di parentela, nei secoli moderni perdono lentamente peso sociale e politico. Non a caso nei decenni successivi alla riforma del 1528 permarranno pesanti contrapposizioni eredi delle antiche fazioni proprio tra le parentelle dell’entroterra, in particolare delle valli della Riviera di Levante. All’interno delle parentelle come nelle famiglie cittadine si realizzano fondazioni di mutuo soccorso per dotare le spose e sostenere i maschi della famiglia. All’interno di questi clan loro interno si verificano consistenti differenziazioni di censo, vi si trovano agricoltori e allevatori, come pure mercanti, notai, medici e giureconsulti. Generalmente sono proprio i membri più facoltosi della famiglia gli istitutori di fondazioni destinate a sostenere la propria parentella, per proteggerla dalle altalenanti fortune dell’economica agricola che in Liguria è da sempre così fragile. I fondatori che possiamo identificare con precisione proprio attraverso le carte del Magistrato di Misericordia, sono talvolta membri del patriziato genovese che hanno mantenuto un legame con le terre e le famiglie d’origine, altre volte mercanti che hanno raggiunto consistenti fortune in Europa o nelle Americhe. Di tutti loro ritroviamo nell’Archivio le copie dei testamenti e degli atti di fondazione rogati in terre lontane che non sarebbe stato possibile reperire con tanta facilità e di cui in molti casi non si conservano gli atti originali. Ma non solo, troviamo l’amministrazione anno dopo anno, le richieste inviate in città dagli aventi diritto ecc.

LA PRIMA SEDE – CHIOSTRO DEI CANONICI

Dal 24 Marzo 1483 quando il Capitolo affittò a loro uso nel cortile superiore una stanza, il Magistrato di Misericordia ebbe sede nel prestigioso edificio realizzato nella seconda metà del XII secolo per dare una consona residenza ai Canonici della Cattedrale di San Lorenzo. Ne dà testimonianza anche  un atto del  28 giugno 1546, con il quale gli eredi di Pellegrina Di Negro fu Sebastiano, vedova di Paolo Spinola, vende una proprietà in Terralba,  «… in camera prefacti Spectati Officii Misericordie sitta in claustro superiori ecclesie maioris ianuensis …», alla presenza degli ufficiali del Magistrato di Misericordia ed alla presenza, in qualità di testimoni, dei notai Geronimo Giustiniani Roccatagliata e Giovanni Battista De Franchi Oneto, cittadini genovesi (notaio Bartolomeo Imperiale Garbarino). Questa sede rimane invariata fino ad almeno il 1813.

Attualmente è sede del Museo Diocesano di Arte Sacra (Link: www.museodiocesanogenova.it).

 

LA SEDE ATTUALE – VIA DEI GIUSTINIANI

 L’eredità di Giovanni Battista Rocca

Via Dei Giustiniani-L’attuale sede del Magistrato di Misericordia è un edifico del quale l’ente è venuto in possesso nella seconda metà del XVIII secolo con la grande eredità del patrizio genovese Giovanni Battista Rocca. Questa consistente eredità è particolarmente significativa per la vita del Magistrato e per la sua storia, non solo per i beni materiali che sono stati sottoposti alla sua amministrazione, ma anche perché essa è portatrice di tanti aspetti della storia genovese.
Giovanni Battista Rocca nasce a Genova il 29 novembre 1690 da Angelo Maria Rocca di Genesio e da Maria Vittoria Giustiniani di Cesare e muore nella propria dimora presso la chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, all’epoca fuori città, il 1° luglio 1745.
I Rocca sono una famiglia arricchitasi con il commercio della seta e nobilitata nel 1648. Infatti, secondo una prassi più volte adottata tra XVII e XVIII secolo, in quell’anno il Senato stabilisce l’ascrizione al Liber Nobilitatis di un certo numero di soggetti che, in possesso delle necessarie caratteristiche di vita more nobilium, siano disposti a elargire cospicui donativi alla Repubblica. Tra gli altri, vengono scelti i fratelli Michele Geronimo e Genesio Rocca figli del defunto Giovanni Battista fu Gio. Geronimo e di Angela Maria Bovone fu Michele, rispettivamente di venticinque e diciannove anni, i quali versano la somma di 240.000 reali. La loro ascrizione è decretata il 2 dicembre 1648. Pochi anni dopo, il 26 aprile 1655, Genesio sposa una dama di antichissima nobiltà, Benedetta figlia di Nicolò dei marchesi di Clavesana, patrizio genovese e signore del feudo di Rezzo in Valle Arroscia, nella Riviera di Ponente. Da questa unione nascono sei figli maschi, tra i quali il detto Angelo Maria, primogenito e padre di Giovanni Battista, e Antonio Maria, il quale abbraccerà la vita religiosa entrando nei Chierici Regolari con il nome di Andrea e sarà abate della chiesa genovese di San Teodoro e vescovo di Mariana in Corsica, tutti ascritti al patriziato genovese il 5 luglio 1677.Via dei Giustiniani
Come già detto anche Angelo Maria ha sposato (10 ottobre 1683) una dama genovese di illustre stirpe, Maria Vittoria Giustiniani, unica figlia ed erede designata di Cesare Giustiniani fu Gio. Agostino, avendone Giovanni Battista. Per parte materna il Nostro discende quindi dalla grande famiglia-albergo degli antichi maonesi e signori dell’isola greca di Chio e in particolare da un ramo che ha stretto rapporti molto importanti con il Regno di Napoli, discendente in linea retta dal celebre Brizio Giustiniani Longo, detto “il Gobbo”, figlio di Domenico Giustiniani Longo fu Bartolomeo e di Adornina Adorno, valente capitano navale al servizio della Corona d’Aragona a Napoli nei primi decenni del Cinquecento. Il detto Cesare Giustiniani non è solamente l’ultimo erede maschio di questa linea familiare, ma è anche detentore dei diritti feudali della propria madre, donna Vittoria Pignatelli dei principi di Conca e Galluccio. Inoltre, l’ava paterna, Lelia Sauli, figlia di Agostino Sauli e di Violante de’ Gradi, gli ha portato in eredità il patrimonio della famiglia de’ Gradi, nobili mercanti milanese trasferitisi in Genova nel XV secolo e ascritti al patriziato genovese. A causa della prematura scomparsa della madre, Maria Vittoria Giustiniani, deceduta il 21 marzo 1699, Giovanni Battista è erede universale delle sostanze dell’avo materno, Cesare Giustiniani, spentosi il 9 settembre 1703. Giovanni Battista eredita così anche il giuspatronato sulla cappella gentilizia dei de’ Gradi nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni e il diritto di custodire una delle chiavi dello scrigno nel quale è racchiuso il prezioso Volto Santo o “Santo Mandillo”, celebre e controversa reliquia, assai venerata in Genova, nella quale è impresso il volto di Nostro Signore Gesù Cristo, ancora attualmente conservata nella chiesa.
Con il proprio testamento del 30 giugno 1745 Giovanni Battista Rocca stabilisce di essere sepolto nella cappella del Santissimo Crocifisso della chiesa di San Bartolomeo degli Armeni e dispone legati in favore delle opere pie cittadine e dei propri servitori. Nomina quindi erede della metà del proprio patrimonio «la sua anima», ovvero le opere pie che saranno dispensate dal Magistrato di Misericordia in favore dei poveri, mentre destina l’altra metà in usufrutto vitalizio alle due sorelle monache in San Leonardo di Carignano, Suor Elena Teresa e Suor Veronica Teresa, precisando che dopo la loro morte il valore di questa porzione dovrà essere convertita in una rendita perpetua annua destinata alla celebrazione di messe di suffragio. Nei beni sottoposti all’usufrutto delle sorelle sono elencati anche la casa con villa nei pressi di San Bartolomeo degli Armeni, dove all’epoca risiede, e «tre case poste da San Donato con sue adiacenze», le quali costituiscono l’attuale sede del Magistrato di Misericordia. I primi fedecommissari chiamati dal testore ad amministrare il patrimonio delle sorelle sono il cugino Antonio Maria Rocca fu Giovanni Battista, al quale lascia la chiave dello scrigno del Volto Santo, e il sacerdote Antonio Maria Bonicelli, ai quali subentreranno in seguito gli Ufficiali di Misericordia.

Il palazzo

Dopo la morte delle sorelle di Giovanni Battista Rocca, tutto il patrimonio di questi è amministrato dal Magistrato di Misericordia, che devolve la metà dei redditi in beneficenza ai poveri e l’altra metà per la celebrazione delle messe ordinate dal testatore. L’ente stabilisce la propria residenza nella palazzo di villa lasciata da Rocca presso San Bartolomeo degli Armeni, dove rimane sino al 2007, quando si trasferisce nell’attuale sede. Questo edificio è il risultato evidente dell’accorpamento di differenti corpi di fabbrica, risultanti dall’unione di schiere medievali che si affacciavano sulla via dei Giustiniani, uno dei più importanti assi viari cittadini alla base della collina di castello, compresa entro la cinta muraria del IX secolo, all’imbocco con lo slargo dell’attuale piazza Ferretto, attraverso la quale si raggiunge l’antichissima e importante chiesa parrocchiale di San Donato. Vi sono quindi assemblate le «tre case poste da San Donato con sue adiacenze» citate da Giovanni Battista Rocca nel proprio testamento. Ci troviamo qui nell’area urbana dove nel corso della seconda metà del Settecento vengono realizzate le prime residenze di concezione “borghese”, edifici divisi in appartamenti di pregio, ancora riscontrabili nelle vicine aree di ponte di Carignano, Stradone di Sant’Agostino, Piazza delle Erbe. L’edifico è nobilitato esternamente dal portale marmoreo a fornice ad arco, coronato da una decorazione barrocchetta che incornicia il Crocifisso a rilievo affiancato dalle iniziali incise «O. M.», ovvero Officium Misericordie, che rimarcherebbero la proprietà;  oppure queste  potrebbero anche riferirsi alla frase Deo Optimo Maximo.  L’edificio, a causa l’irregolarità della planimetria, presenta dei  dislivelli tra i diversi appartamenti, raccordati dalla soluzione da un ampio atrio-vano scala. Si accede all’edifico da un ampio ingresso a piano della strada sul quale si staglia la scalinata d’ardesia contraddistinta da balaustre di marmo bianco: un prima rampa centrale dalla quale si dipanano due rampe simmetriche, quella a sinistra che  attualmente da accesso a un appartamento, mentre quella a destra collega a un altro vano scala che risale sino all’appartamento dove ha sede il Magistrato di Misericordia e il suo Archivio, contraddistinto da vani ampi ed eleganti che pure risentono in parte dell’irregolarità della planimetria.

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